giovedì 29 aprile 2010

Lettera a “La Repubblica”

Il fondo di stamani di Massimo Giannini ,”Una folle partita a Poker”, conclude : “i governi d’Europa non l’hanno capito. Continuano a scherzare sotto il vulcano”-
Nel breve saggio da me pubblicato a gennaio 2007 “perché urge la Patrimoniale” concludevo sostanzialmente nello stesso modo, lanciando un preavvertimento al Governo Prodi : “ l’alternativa è il ritorno del Caimano, che è in agguato e non aspetta altro.Il suo unico scopo è conquistare e mantenere il potere, dominare,quale designato dal Signore, il resto dell’umanità, avversari ed alleati. Per tale obiettivo è ben disposto a dichiarare ed impegnarsi, con tutta la demagogia e la strumentalizzazione di questo mondo, per la riduzione delle tasse agli italiani in modo da condurli sotto quel Vulcano che, per esplodere e seppellirci tutti, non aspetta altro che qualcuno accenda la miccia.
E non è solo una strana coincidenza o combinazione. La descrizione immaginifica del vulcano è tra le piu’ aderenti alla realtà e la piu’ efficace per rendere l’idea dell’equilibrio da precipizio su cui si reggono le economie e la finanza dei Paesi oppressi da uno stock di Debito Pubblico fuori da ogni norma e da ogni raziocinio e che assume tutte le caratteristiche e la pericolosità del vulcano di Ischia, descritto proprio in questi giorni da Bertolaso. Sta accumulando magma e prima o poi esploderà, ma nessuno è in grado di prevedere quando. Ma quando arriva il momento, seppellirà tutto e tutti. La stessa identica cosa avviene quando il livello del debito pubblico tocca vette elevate e sotto cova il magma. Tutti gli specialisti e gli analisti finanziari giudicano che quando il debito supera il 100% del PIL è indispensabile e urgente intervenire, così come è avvenuto in periodi storici diversi e in diversi paesi del mondo.
L’Italia ha superato da decenni questo limite, oggi è attestata al 115% contro il 77% del Portogallo, considerato prossimo al default, ed ha uno stock superiore di oltre cinque volte quello della Grecia, che però è già fallita. Questi due semplici raffronti spiegano alla perfezione l’inspiegabilità dell’equilibrio da brivido su cui si regge il nostro Paese. Una delle spiegazioni può essere data dal ricorso da oltre 20 anni al raschiamento del fondo del barile attuato in danno di tutta la collettività con le finanziarie di sangue e lacrime e a pagare sono stati per lo piu’ le classi medio basse con il conseguente innesco di una fase di stagnazione dell’economia. Ora, con l’arrivo della crisi, ciò non è piu’ possibile, ma il Paese è letteralmente a terra in tutti i suoi settori vitali, dalla scuola alla ricerca, dalle infrastrutture all’innovazione tecnologica, dalla pubblica amministrazione alla sanità, alle ferrovie, ai trasporti aerei e via dicendo.
Perciò non v’è chi non veda come di fronte ad un Paese in ginocchio, che richiederebbe iniezioni pesanti di risorse per ripartire, senza pagare un onere pesantissimo a servizio del debito, l’unica alternativa possibile sia quella di chiamare a contribuire quel 10% di cittadini che possiedono (dati Bankitalia) il 50% della ricchezza finanziaria (a parte quella immobiliare) e che sono quegli stessi che hanno lucrato in passato degli altissimi tassi di interesse pagati sul debito, a cominciare da Banche, Assicurazioni, grossi finanzieri, intermediari e speculatori vari.
Oltre che nel saggio di cui sopra, sul mio blog ho pubblicato un documento preciso e concreto che dimostra come sia possibile alleggerire il debito con un prelievo straordinario una tantum, contestualmente al varo di una modifica del meccanismo dei tassi.
Ma tutto ciò non lo capiscono, o fanno finta di non capirlo, non solo i governi d’Europa bensì partiti politici di maggioranza e di opposizione, sindacati, economisti, commentatori, e tutta la carta stampata e le televisioni.
Sull’argomento ho scritto infinite volte ed ho sempre inviato i documenti agli organi di informazione, ma nessuno ha dato mai spazio ad un argomento che sta a monte di tutti gli altri, se non altro proponendolo come tema di discussione e di dibattito.
Eppure non ci vuole uno scienziato per capire che è perfettamente inutile stilare il decalogo di Di Pietro delle cose da fare e delle risorse da stanziare, se non vengono individuate e proposte le fonti con cui finanziarle.
Infine, lo scoppio del vulcano può essere determinato, come dimostra il caso della Grecia, da qualsiasi fattore interno od esterno, da un giudizio ponderato o anche bizzarro delle agenzie di rating, e via dicendo.
Per questo, forse, l’azionista di riferimento del vostro Gruppo editoriale ha lanciato in Settembre 2009 l’appello per il varo di un’imposta patrimoniale, dalle colonne de “il sole 24 Ore”.
E’ il solo che lo ha capito?
Saluti. Francesco Calvano

Lettera a L’Espresso – FEBBRE ITALIA

Vorrei intervenire, se ciò è consentito anche ad un comune mortale che non ha la notorietà dei due illustri Professori che hanno pubblicato diagnosi e prognosi sulla grave, direi drammatica, crisi economico-finanziaria del nostro Paese, ma che ha qualche buona informazione di base per percorso di studi e qualche approfondimento non del tutto trascurabile.Uri Dadush e Moises Naim hanno svolto un’analisi sulla situazione italiana sicuramente di alto livello, che è da accogliere pienamente per quanto riguarda il grido di allarme che essi lanciano sulla reale situazione italiana e l’invito a non sottovalutare il pericolo, molto plausibile, che il default possa avvenire da un momento all’altro. Assolutamente condivisibile il primo dei pericoli che essi denunciano, la voragine del debito pubblico. Sul resto e sulla prognosi, viceversa, c’è molto da obiettare.
Del tutto fuorviante appare l’osservazione che una delle cause dell’aggravarsi della crisi vada attribuita all’alto costo del lavoro in Italia rispetto agli altri paesi nostri competitors per le seguenti osservazioni:
1)Non solo in Italia, ma nel mondo, l’aumento della produttività non ha mai portato ad un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, come ha dimostrato Rifkin qualche fa, che l’Espresso ha pubblicato; ad un aumento di produttività negli ultimi dieci anni, prima della crisi, ha fatto riscontro l’espulsione di 31 milioni di lavoratori a livello mondiale;
2) L’affermazione dei due autori è in pieno contrasto con quanto vanno sostenendo da tempo i sindacati italiani (tutti) in merito alla perdita di potere di acquisto, consistente, dei salari italiani rispetto all’Europa;
3) Ed infine, sembra smentita in pieno dai dati contenuti nella Tabella pubblicata all’interno dello stesso articolo, dove il costo del lavoro (al lordo) italiano viene dopo quello di altri 11 paesi competitors e il raffronto si acutizza se vengono presi in esame i salari netti, dimezzati dal prelievo fiscale e contributivo.
Da queste osservazioni discende la conseguenza logica e coerente che la ricetta per sanare l’economia e lo stesso debito pubblico non può certo essere quella di tagliare i salari del 6%.
A parte ogni considerazione sulla effettiva praticabilità di una simile diabolica misura che verrebbe a colpire ancora una volta e sempre lavoratori, che in tale evenienza avrebbero il sostegno deciso dei sindacati, il presunto vantaggio che ne dovrebbe scaturire in termini incentivanti per l’economia, sarebbe vanificato , e produrrebbe un contraccolpo opposto, poiché provocherebbe una fase di diminuzione dei consumi e quindi innescherebbe un ciclo depressivo dell’economia.
Sulla base di queste considerazione, la stessa analisi sul debito pubblico diventa parziale ed incompleta, per certi aspetti solo accennata.
L’Italia, da circa un trentennio, si trova stretta in una morsa soffocante per via dell’immenso, insostenibile stock del debito e dei conseguenti costi che genera. Nonostante i venti anni di manovre attuate con le Finanziarie annuali, oggi il debito non solo non è diminuito bensì aumentato, con il risultato che tutte le risorse aggiuntive sottratte alla massa dei cittadini sono finiti inghiottiti dalla voragine del debito, con l’ulteriore arricchimento dei possessori dei titoli di stato e un latente andamento depressivo dell’economia, con il ristagno pauroso in tutti i settori; dalla scuola alle infrastrutture, dalla sanità alla giustizia, dalle compagnie aeree alle ferrovie, e l’elenco è lungo, non si salva nessuno.
L’infernale intreccio stock del debito, oneri da esso scaturenti, riflessi sull’economia e sulla finanza, dice chiaramente che non esistono molti spiragli per uscire dalla crisi. La morsa, di cui parlavo, è presto detta : se l’economia continua a ristagnare, il livello dei tassi si mantiene basso, ma in tal caso non ci può essere crescita; se c’è quest’ultima, il livello dei tassi inesorabilmente cresce e può benissimo provocare quel default alla greca paventato dai due economisti.
Come se ne può uscire?
Con una manovra combinata tra prelievo straordinario sui patrimoni di quel 10% di cittadini che possiede il 50% della ricchezza finanziaria (vedi relazione Bankitalia) e una contestuale revisione dei meccanismi che regolano i titoli di stato. Sul mio Blog ho pubblicato una proposta concreta e specifica sull’argomento, rifacendomi anche alla Relazione che il Direttore del Debito Pubblico ha presentato al Parlamento, qualche anno fa, sugli innumerevoli provvedimenti adottati al riguardo dall’unità d’Italia fino al 1945, allorquando il debito è stato praticamente per effetto dell’inflazione bellica.
E forse non è una semplice coincidenza la circostanza rilevante che la ricostruzione post-bellica, prima, e il miracolo economico italiano,dopo, siano avvenuti in un contesto di assenza di debito pubblico e con avanzi primari fino al 1965.
A questo punto chiedo all’Espresso, il piu’autorevole settimanale diffuso in Italia, aperto al dialogo al confronto all’approfondimento delle tematiche importanti, perché mai una simile proposta non possa essere portata all’attenzione e al dibattito tra i lettori?
Almeno un appoggio, piu’ che autorevole, da parte dell’azionista del settimanale, Ing. De Benedetti, lo dovrei raccogliere, dal momento che egli ha lanciato l’idea di una imposta straordinaria sui patrimoni dalle colonne del “sole 24-ore, nello scorso mese di settembre, sulla base di un’analisi e di argomentazioni che coincidono all’unisono con quelle da me sviluppate nell’opuscolo pubblicato in gennaio 2007 “Perché urge la Patrimoniale” . Francesco Calvano

sabato 3 aprile 2010

BERSANI E LA CARTINA DI TORNASOLE

Come da consuetudine ormai consolidata, all’indomani di una consultazione elettorale importante, i commenti le analisi le ricerche psico sociologiche e ambientali non si contano. Ognuno pensa di avere una verità in tasca e le ricette diventano migliaia di migliaia. Ma finora non ne ho trovato una sola che abbia il coraggio o la consapevolezza di affondare il dito nella piaga e capace di analizzare la fenomenologia collegata alla struttura della società, dell’economia, dell’organizzazione del lavoro. Tutti si dibattono nell’affannosa ricerca delle cause sub-strutturali, del dialogo si, dialogo no con Berlusconi e la destra, come se le due formazioni fossero la stessa cosa o le due facce di una stessa medaglia. Così assolutamente non dovrebbe essere, ma forse lo è, e sono io che mi ostino a credere e pensare che non può essere. Tra le numerose altre, ho letto con interesse e attenzione la lettera scritta da Bersani, via Internet, e mi sono compiaciuto se non altro per il metodo nuovo di apertura al mondo civile e per la richiesta di dialogo, ritengo senz’altro dettata dalla volontà di conoscere, capire ed elaborare. C’è un passaggio centrale particolarmente incisivo, sul quale dovrebbero concentrarsi i commenti e il dibattito.

“Il Partito Democratico è il partito di una nuova centralità e dignità del lavoro dipendente, autonomo, imprenditoriale e della valorizzazione del suo ruolo nella costruzione del futuro del Paese”, afferma Bersani.

Il concetto è pienamente condivisibile. Bisognerebbe dibattere su come si possa raggiungere. Per fare ciò occorre avere coraggio, lealtà, uscire dal provincialismo. L’organizzazione del lavoro, rispetto al passato, è profondamente cambiata. Tant’è che una delle cause del crollo dei consensi e del voti in favore della sinistra in determinate zone è determinata proprio dalla mancanza della classe lavoratrice nelle fabbriche e non tanto invece dal radicamento sul territorio della lega, che è presente si, ma che raccoglie voti sputando veleno su tutto e tutti, compreso Berlusconi a seconda delle epoche, e inculcando nella mente e nel cuore della gente i sentimenti piu’ biechi, piu’ razzisti, piu’ retrogradi che si possano concepire. La concorrenza non può certo avvenire a tali livelli.

Bisogna allora partire dall’analisi che il lavoro non esiste piu’ nelle sue forme tradizionali ( e ciò riguarda il pianeta terra,non solo l’Italia), esiste in misura esigua rispetto al passato, basta leggere i testi e gli aggiornamenti di Jeremy Rifkin per rendersi conto che la progressiva e paurosa caduta dei posti di lavoro è cominciata da 30-40 anni, anche rispetto ad un aumento della produttività e dei profitti. Di recente è stata accentuata e resa drammatica dalla crisi scoppiata con le bolle finanziarie, ma l’occupazione non tornerà mai piu’ ai livelli precedenti. Da ciò discende una prima importante decisiva conclusione, e cioè che bisogna impostare la lotta per garantire il lavoro al maggior numero possibile di individui puntando su una concezione completamente rivista ed aggiornata, inedita e rivoluzionaria. Lo sviluppo delle tecnologie e di internet riservano un numero sempre decrescente di posti di lavoro, quindi bisognerà disegnare una sua organizzazione dove possano lavorare tutti (diversamente una società non si regge) per un numero inferiore di ore e dedicare il resto alla copertura e sviluppo delle attività nel campo del sociale.

Il secondo, peculiare, drammatico aspetto del nostro Paese è rappresentato dallo stock del debito pubblico, che, nonostante le manovre delle finanziarie da 20 anni a questa parte, continua ad aumentare e rischia di soffocare qualsiasi possibilità non solo di sviluppo, ma anche di solo mantenimento dei servizi essenziali per le moltitudini di cittadini. Mi risparmio di elencare tutti i servizi ed i settori in profonda crisi per la mancanza di risorse, essi sono sotto gli occhi di tutti.

Caro Bersani, è tutto qui il problema dello schieramento, chiamiamolo di sinistra, di centro sinistra, progressista, emancipato. Avere il coraggio di elaborare una proposta per la costruzione del futuro del Paese, senza temere di essere tacciati ed accusati dall’imperatore di estremismo, di comunisti e via dicendo.
Questo Paese non può andare da nessuna parte se non si risana il debito pubblico. Dall’unità d’Italia al 1945 sono state fatte decine e decine di manovre sui titoli del debito pubblico da tutti i governi borghesi che si sono succeduti e nessuno li ha tacciati di estremisti o comunisti. Sul mio Blog, ho riportato la Relazione del Direttore Generale alla commissione parlamentare di vigilanza sul debito pubblico, ma ho anche pubblicato un documento nel quale ho sviluppato l’ipotesi, che basta tradurre in articolato legislativo, per prelevare un’aliquota una tantum a quel 10% di super ricchi che possiede il 50% della ricchezza finanziaria (oltre quella immobiliare, come ci ricorda con molta enfasi, ogni anno, il Governatore di Bankitalia) per avviare il risanamento delle finanze pubbliche, premessa per la creazione di posti di lavoro che porti a quel “processo di costruzione del futuro del Paese”.

Questa sarebbe anche, al di là della sua bontà intrinseca, la cartina di tornasole per verificare se il nostro Premier è davvero dalla parte del popolo che lo ama.
Resto a disposizione per ampliare e portare avanti il dibattito sugli argomenti e le tematiche proposte. Francesco Calvano
http://studiocalvano.blogspot.com/

U.Galimberti: il vero volto del capitalismo
http://www.youtube.com/watch?v=tnGXsqHuhWE